Il d.d.l. “Nordio”

14 Ago, 2024

Il d.d.l. n° 1718, dai media denominato “Nordio”, ha abolito il c. 1-ter dell’art. 581 cpp e modificato il successivo c. 1-quater del medesimo articolo.

L’intervento correttivo è pienamente condivisibile e fondato, ancorché incompleto, per come spiegherò.

 Trascuro il c. 1-quater che ha limitato al difensore d’ufficio l’adempimento degli obblighi previsti a pena di inammissibilità per proporre impugnazione (ovviamente avverso sentenze penali di condanna), nel caso di imputato dichiarato assente e pertanto mi concentro sul c. 1-ter. Le due disposizioni di legge sono state introdotte da una problematica e molto contestata riforma denominata “Cartabia”, dal nome dell’allora Ministro della giustizia. Il comma 1-ter di cui intendo discutere disponeva la inammissibilità della impugnazione proposta nel caso in cui congiuntamente ai motivi non fosse stata depositata anche la elezione di domicilio dell’imputato. Lo stesso comma affermava poi che tale obbligo era imposto al fine di consentire la notifica all’imputato dell’avviso di fissazione del successivo grado di giudizio.

Ho già richiamato il generalizzato dissenso verso la riforma (e, per quello che vale, la mia radicale contrarietà), adesso ne spiego le ragioni, peraltro elementari.

La riforma Cartabia sul punto sembra aver perseguito una non lodevole finalità. Quella di predisporre inciampi e difficoltà con lo scopo di incrementare i casi di inammissibilità delle impugnazioni, propiziando il passaggio in giudicato di sentenze di condanna per motivi non concernenti il merito della vicenda (in questi casi l’imputato appellante avrebbe potuto essere dichiarato non colpevole nel successivo grado di giudizio). In altri termini, si sono utilizzate presunte incompletezze, del tutto formalistiche e comunque gravemente sproporzionate (il principio di proporzione è di livello costituzionale) rispetto alla gravissima sanzione processuale della inammissibilità. Basta considerare che alla mancata allegazione del documento, conseguiva la definitività della condanna. Per meglio comprendere pe ragioni della critica, basterà riflettere sulla circostanza che la finalità asseritamente perseguita, ossia quella di consentire la notificazione all’appellante era clamorosamente smentita dal fatto che, anche a prescindere dalla allegazione della elezione di domicilio ai motivi di appello, questo stesso documento é presente in atti e facilmente reperibile dalla cancelleria, donde l’accusa di un inutile formalismo e di grave disinteresse per la possibile innocenza. Né può trascurarsi conflitto con la presunzione di non colpevolezza, svuotata di contenuti da scelte legislative che rendono difficoltoso l’appello, strumento tra l’altro protetto dall’art. 14 del trattato sui diritti civili e politici di New York (16-12-1966). Malgrado tutto ciò, la riforma aveva inteso rovesciare, nel suo esatto contrario, lo storico e liberale principio del “favor impugnationis”. Ciò perché si è utilizzato un meccanismo che per di più rendeva molto problematico il rilascio del documento per l’imputato detenuto e quasi impossibile l’osservanza della previsione legislativa per il latitante. La disposizione di legge qui commentata si caratterizzava, poi, per un errore tecnico, concernente la precisione del linguaggio, nel quale il legislatore non dovrebbe mai incorrere.

Venivano infatti genericamente richiamate le impugnazioni, termine all’interno del quale ricade certamente anche il ricorso per cassazione. Tuttavia in questa ultima ipotesi la stessa legge processuale da sempre esclude la notificazione dell’avviso di fissazione dell’udienza all’imputato, avviso previsto invece soltanto per il difensore (oggi obbligatoriamente munito di pec).

Tutto ciò premesso è chiaro come la abrogazione del c. 1-ter è manifestamente legittima, rappresentando la norma abrogata, tra l’altro, un caso di slealtà nei rapporti tra Stato e cittadino. Tuttavia l’abrogazione è insufficiente e tale da causare ingiustificate disparità di trattamento (art. 3 Cost.). Sin dalle prime avvisaglie della abrogazione del c. 1-ter avevo avvertito i responsabili della necessità di introdurre anche una disposizione di diritto transitorio.

Giusto per esemplificare, si sarebbe dovuto scrivere “il c. 1-ter dell’art. 581 c.p.p. è abrogato e cessa di produrre effetti sin dalla sua data di entrata in vigore”.

Infatti, il sistema di diritto processuale penale difetta di una disposizione regolativa del fenomeno di successione tra leggi nel tempo (la disposizione è invece presente nel codice di diritto sostanziale ed attribuisce efficacia retroattiva alle disposizioni favorevoli. Bisogna osservare che g li sforzi della più illustre dottrina penalistica di trasferire questo meccanismo al processo sono falliti).

La magistratura, da parte sua, in materia utilizza il ben diverso principio del “tempus regit actum”, traendolo da una lettura (incompleta) del trattato di diritto processuale di Vincenzo Manzini.

Stando così le cose, il d.d.l. “Nordio” corregge gli effetti negativi del c 1-ter solo a partire dalla sua data di entrata in vigore, risultando inapplicabile, però, a chi ne ha già subito gli effetti.

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